Mi chiamo William, ho quasi 52 anni e sono di un paese in provincia di Latina. Sono in cura al Seràgnoli per un mieloma dal 2019 e in questi 3 anni ne sono successe di cose. Tante. Ho perso me stesso e ho ritrovato me stesso. Ho smesso di correre, anzi di rincorrere senza sosta un obiettivo dopo l’altro, ed ho iniziato a camminare. Ho cambiato gusti in fatto di persone, mi piacciono solo i buoni e ho deciso, tutte le volte che posso scegliere, di passare il mio tempo con la parte di umanità che ha buon cuore. Ho smesso di lanciarmi col paracadute ma ho riscoperto gli scacchi e le passeggiate nella natura; la lettura invece è rimasta una passione, l’ho mantenuta.
Un romanzo mi ha accompagnato per 100 giorni. Il libro è rimasto lì, sul comodino, durante tutti i 5 ricoveri, di circa 20 giorni ciascuno. “E perché non l’hai letto?” ti chiederai. È perché non ne avevo le forze e ogni volta che provavo perdevo il filo dopo poche righe, perché la cura che ho fatto, è benefica ma anche debilitante, e allora tutti i momenti di quasi benessere in ospedale li ho passati camminando. 24 metri di corridoio, anzi 22, perché per non far aprire le porte scorrevoli non mi avvicinavo alla fotocellula e facevo dietrofront prima. Tante volte, fino a percorrere 4 km al giorno. Quando facevo le mie “passeggiate” alcune infermiere dicevano: - è partito il criceto -. E se prima della malattia fare 70km di corsa alla settimana era normale, durante alcuni momenti dei miei tanti giorni di ricovero percorrere anche solo pochi metri era come voler salire una montagna, ma farlo mi faceva sentire presente a me stesso e percepivo che mi aiutava. I periodi di ricovero non sono stati solo terapia e stanchezza, ma anche sincera amicizia dei miei compagni di stanza e dei loro familiari e soprattutto fiducia, accoglienza, umanità, professionalità e bontà di chi si prendeva cura di me.
Preparazione di alto livello, indispensabile, e un sorriso o una carezza, un autentico balsamo. Durante quei giorni ho scritto una cosa e l’ho riposta nel libro. Su quel foglio ho scritto il mio più grande desiderio, quello di essere un uomo ricco. In quei giorni ho desiderato fortissimamente di avere un patrimonio ingente da poter donare a chi, in futuro, come me, dovrà attraversare un percorso che parte da un dolore così grande da desiderare di spegnere la vita con un pulsante, fino a giungere alla soddisfazione enorme di compiere “l’impresa” di percorrere, dopo il secondo autotrapianto, con le proprie gambe e lo zaino sulle spalle i 350 mt che separano Casa AIL dalla fermata del bus.
Avrei voluto un patrimonio tale da consentire a tutti di ritrovare la vita dopo la malattia.
Quando sono uscito quel foglio l’ho trasformato in un Lascito ad AIL Bologna. No, il mio patrimonio non è quello di un uomo ricco, ma ho deciso di donare quello che ho, e sapere di poter dare un’opportunità di futuro e di vita ad altre persone mi riempie di gioia, mi fa sentire bene, anzi benissimo. Ed è il mio modo di dire grazie a chi si è preso e si prende cura di me, ai medici e agli infermieri del Seràgnoli, ai volontari AIL, ai miei amici di camera e ai loro familiari con i quali ho il piacere di aver mantenuto i contatti. Persone che abitano la parte buona del mondo, quella parte dove mi piace stare. Grazie per tutto quello che fate per me.
William P.