L’analisi citogenetica cosiddetta “convenzionale”, che studia le eventuali alterazioni dei cromosomi, deve essere considerata il “progenitore” di tutte le indagini genetiche più recenti e innovative, applicabili attualmente sia nel campo della Ricerca e ormai anche della diagnostica e alla portata di un sempre maggior numero di laboratori. È stata la prima metodologia che ha permesso di individuare le correlazioni tra danno genetico e malattia oncologica.
Un lungo cammino cominciato oltre 60 anni fa, almeno per quanto riguarda le patologie ematologiche. Infatti nel 1960 fu descritto per la prima volta il cromosoma di Philadelphia (dalla città in cui avvenne la prima segnalazione), che è tuttora il marker patogenetico della Leucemia Mieloide Cronica. Da quel momento si ebbe la consapevolezza che lo studio delle alterazioni dei cromosomi fosse particolarmente utile nell’approccio terapeutico alle malattie neoplastiche ematologiche. Dopo qualche anno, l’introduzione della citogenetica “molecolare” o ibridazione in situ fluorescente (FISH) ha reso lo studio delle alterazioni citogenetiche più sensibile e più specifico. Da qui si è aperta la strada per il riconoscimento dei geni coinvolti nelle alterazioni citogenetiche, il cui riarrangiamento è alla base della patogenesi della malattia. La prognosi e la storia naturale di alcune patologie, come la leucemia mieloide cronica e la leucemia acuta a promielociti, che presentano alterazioni citogenetiche specifiche, sono state modificate già da tempo dall’introduzione di approcci terapeutici mirati agli specifici riarrangiamenti genici presenti.
L’avvento di nuove metodiche globali di studio del genoma ha permesso un’analisi sempre più specifica: dalle analisi delle alterazioni cromosomiche alle analisi delle alterazioni geniche, attraverso lo studio del DNA e dell’RNA. Metodiche molteplici, quali le reazioni polimerasiche a catena (PCR), il sequenziamento genico, il profilo di espressione genica (GEP), lo studio dei polimorfismi a singolo nucleotide, sono entrate nella diagnostica di “routine”. L’identificazione di nuovi marcatori molecolari di malattia ha arricchito le conoscenze biologiche di tutte le patologie oncoematologiche. Ma la tecnologia che sta rivoluzionando lo studio genetico è il sequenziamento di nuova generazione (Next Generation Sequencing o NGS), che permette l’analisi massiva e parallela di frammenti di DNA, con estrema accuratezza.
Negli anni si è visto come i geni, contenuti nei cromosomi, fossero oggetto oltre che di riarrangiamenti, delezioni o amplificazioni dei cromosomi, anche di mutazioni, cioè di alterazioni a carico dei nucleotidi (che formano il gene). Ed appunto da queste osservazioni, come già era stato approcciato per le alterazioni dei cromosomi, si può indirizzare la terapia avvalendosi di specifici farmaci inibitori che agiscono sulle cellule portatrici di tali alterazioni.
Alla base della Ricerca in campo genetico è la necessità di trasformare una conoscenza biologica in una terapia il più possibile specifica ed efficace. Infatti una caratteristica biologica con valore prognostico, che fornisce informazioni sul probabile decorso della malattia indipendentemente dalla terapia, deve diventare un marcatore biologico “bersaglio” per i protocolli terapeutici sempre più mirati e in tal modo, anche identificare sottopopolazioni di Pazienti che possono maggiormente beneficiarne.
Comunque, sebbene sia “diversamente giovane”, l’analisi citogenetica (convenzionale e molecolare) rappresenta tuttora un esame imprescindibile nella maggior parte delle neoplasie ematologiche: l’individuazione di specifiche alterazioni cromosomiche ne consente infatti la corretta caratterizzazione per la conseguente terapia.